Nuovi studi sull’influenza suina

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Dagli Stati Uniti, che sembrano attualmente essere tra i paesi più colpiti dall’influenza suina, arrivano due nuovi studi che riguardano la pandemia. Il primo dei due riguarda la scoperta di un caso in cui il virus H1N1 resistente ad un farmaco si è trasmesso da persona a persona, il secondo studio riguarda invece la scoperta che nei bambini il virus si diffonde anche dopo due settimane dopo l’insorgere dei primi sintomi, anche se per ora non si sa ancora se tale diffusione sia significativamente contagiosa o meno.

Nuovo rapporto OMS sull’influenza suina

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Il numero di decessi causati dall’influenza suina continua a crescere, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tanto che in quest’ultima settimana la quota di decessi ha toccato le 700 unità. Fino al 25 ottobre i casi di decesso per influenza suina segnalati sono stati 5700, con un incremento notevole nell’ultima settimana, con almeno 700 nuovi casi.
L’aumento maggiore si è registrato nelle Americhe, dove sono stati contati 4.175 decessi, con un’impennata di 636 casi solo nell’ultima settimana.

Quando finirà l’allarme per la pandemia?

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Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nello scorso giugno aveva decretato il livello 6 per l’influenza suina, di fatto dichiarandola una pandemia, ci vorranno anni prima che questa ritorni ad essere riportata ai livelli di una normale influenza stagionale.
L’allarme resterà quindi tale fino a quando non si verificherà un miglioramento sensibile nella diffusione del contagio.
Ad oggi, tuttavia, non c’è ancora nessuna indicazione su quando ciò potrebbe accadere.
Nelle pandemie passate ci è voluto infatti diverso tempo perchè il virus diventasse meno contagioso, fenomeno che generalmente accade quando le persone cominciano a sviluppare gli anticorpi o si diffondono i vaccini: di norma in passato ciò avveniva nell’arco di due-tre anni.

Influenza suina e gesti quotidiani

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L’influenza suina è alle porte, e la preoccupazione di essere contagiati probabilmente in molti ha già stimolato il ricorso ad una serie di precauzioni per evitare il contagio, come l’utilizzo delle mascherine o il lavarsi le mani con più cura e frequenza.
Tuttavia ci sono una serie di comportamenti abituali e gesti che compiamo quotidianamente dei quali trascuriamo la capacità potenziale di essere facilitatori del contagio, aumentando la possibilità di essere attaccati dal virus.
Vediamone alcuni:

Lavarsi le mani, mascherine e guanti sono la prevenzione più efficace contro l’influenza

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Farmaci, igiene personale, mascherina protettiva e quarantena sono alcuni degli strumenti di prevenzione che vengono adottati per proteggere da infezioni di carattere virale come l’influenza, e, ultimamente, su di essi, visto il diffondersi della pandemia di influenza suina si è puntata molto l’attenzione, anche per verificare quali di queste strategie sia la migliore.
Un recente aggiornamento di uno studio condotto nel 2007, i ricercatori del Cochrane Acute Respiratory Infections Group hanno verificato 59 recenti studi che investigavano l’efficacia delle varie forme di prevenzione, confrontandole tra di loro.

Il virus dell’influenza suina penetra più in profondità nei polmoni

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Una nuova ricerca condotta da ricercatori britannici conferma recenti studi (come quello pubblicato ad opera di ricercatori della University of Maryland ed apparso questo mese sulla rivista PLoS Currents) che hanno appurato come il virus dell’influenza suina sia in grado di penetrare in maniera più profonda nei tessuti polmonari rispetto al normale virus dell’influenza stagionale.
Uno dei motivi per cui questo tipo di influenza risulta più grave e pericolosa per alcune persone dunque consisterebbe nel fatto che è in grado di colpire un maggior numero di cellule.

Infuenza suina, positivo un caso di farmaco somministrato per via endovenosa

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Inghilterra:22 anni, malata di cancro, aveva contratto l’influenza suina e le sue condizioni erano particolarmente gravi.
La situazione sembrava irrecuperabile, quando i medici hanno pensato di provare un metodo poco ortodosso: utilizzare uno dei farmaci più efficaci contro il virus influenzale, il Relenza, per via endovenosa.
Ha funzionato, e la donna, in gravi condizioni ha piano piano recuperato, in cinque giorni era in grado di respirare da sola e dopo una decina di giorni ha lasciato il reparto di terapia intensiva.
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