Individuato il funzionamento dei prioni

di Redazione

Un nutrito team di ricercatori italiani avrebbe identificato il meccanismo che indurrebbe i prioni a compromettere le normali funzionalità dei neuroni del cervelletto.

Individuato il funzionamento dei prioni

Un nutrito team di ricercatori italiani, facenti riferimento all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, all’Università di Milano, allo University College di Londra e all’Istituto Telethon Dulbecco, al quale sarebbe inoltre stato dedicato l’articolo, pubblicato sull’eminente rivista scientifica Neuron, grazie al quale sarebbe stata possibile la divulgazione internazionale dei risultati della fondamentale sperimentazione scientifica condotta soprattutto in Italia, avrebbe identificato, per la prima volta nella storia, il meccanismo che indurrebbe i prioni, ovverosia le proteine danneggiate responsabili di ogni forma di encefalopatia tra le quali figurerebbe, come ormai noto, il celeberrimo morbo cosiddetto della mucca pazza, a compromettere le normali funzionalità dei neuroni del cervelletto che, come certamente saprete, sarebbe l’area del cervello umano deputata al controllo dei movimenti volontari.

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Renato Chiesa, importante neurologo italiano nonché unico responsabile della ricerca oggi alla nostra attenzione, avrebbe in mattinata dichiarato che: “in corrispondenza dei primi deficit motori si ha un’alterazione nel rilascio di un particolare messaggero chimico cerebrale, il neurotrasmettitore glutammato. Questo perché, accumulandosi all’interno del neurone, la proteina prionica alterata ostacola il trasporto sulla superficie della cellula di un’altra proteina coinvolta nel regolare il rilascio dei neurotrasmettitori“.

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La proteina prionica danneggiata, alterando il normale passaggio dei neurotrasmettitori dal centro verso la periferia, impedirebbe dunque allo stimolo cerebrale di raggiungere i nervi, e di conseguenza i muscoli, impedendo al soggetto di muoversi liberamente, indipendentemente ed autonomamente.

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Questo meccanismo così particolare, oltre a testimoniare della mancanza di collegamento tra il cervello e le aree periferiche del corpo umano, potrebbe altresì spiegare, sebbene al proposito numerose altre ricerche andrebbero condotte sull’argomento, i movimenti coreici tipici della quasi totalità delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale.

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