Parkinson, 4 cose essenziali da sapere

di Redazione

Cosa sappiamo della malattia di Parkinson? Poco ed in maniera confusa: ne soffriva Papa Giovanni Paolo 2°, si confonde con l’Alzheimer, si crede che sia una patologia caratterizzata solo dal tremore delle mani e che sia tipica della vecchiaia. Chi riceve una diagnosi di Parkinson è spesso spaventato, anche perché ha sintomi diversi dal tremore. Proviamo insieme a tracciare i punti salienti che riguardano questa malattia.

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1.Cos’è la malattia di Parkinson?

La malattia di Parkinson –in inglese Parkinson’s Disease o PD- (e non morbo di Parkinson come veniva chiamato fino a qualche tempo fa) appartiene ad un gruppo di condizioni chiamate disturbi del sistema motorio, frutto della perdita di cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina, ovvero un neurotrasmettitore prezioso nello stimolare le strutture nervose essenziali per il controllo dei movimenti. Da qui dunque il tremore che però non è l’unico sintomo e non è presente in tutti i pazienti.

2. I sintomi del Parkinson

I quattro sintomi principali del Parkinson sono tremore, o tremore delle mani, braccia, gambe, mandibola e volto; rigidità, o rigidità degli arti e del tronco; bradicinesia, o lentezza nei movimenti; e instabilità posturale, o equilibrio e coordinazione alterata. Poiché questi sintomi nel tempo diventano sempre più pronunciati ed invalidanti i pazienti possono avere difficoltà a camminare, a parlare, o completare altri compiti semplici. Il Parkinson di solito colpisce persone di età superiore ai 60 (ma esiste anche una forma giovanile). I primi sintomi della malattia sono lievi e difficili da individuare, si manifestano gradualmente. In alcune persone la malattia progredisce più rapidamente che in altri. Altri sintomi possono includere la depressione e altre forme e modifiche del tono dell’umore o emotività; difficoltà a deglutire, masticare, e parlare; problemi urinari o stitichezza; problemi della pelle; insonnia. Al momento non ci sono analisi del sangue o altri test in grado di fare una diagnosi certa che avviene invece basandosi sulla storia clinica, una visita neurologica e l’approfondito esame dei sintomi. I medici possono talvolta richiedere scansioni del cervello o esami di laboratorio al fine di escludere altre patologie con la medesima sintomatologia.

3. Esistono cure?

Allo stato attuale, non c’è una cura per tale patologia, che rimane cronica e degenerativa, ma esistono una varietà di farmaci capaci di alleviare il disturbo dei sintomi e rallentarne la progressione. Il principale di questi medicinali è la levodopa in combinazione con carbidopa che insieme forniscono dopamina al cervello. Tale terapia non è efficace in tutti i pazienti (in genere contrasta la rigidità e la bradicinesia ma non è molto efficace sul tremore) ed ha severi effetti collaterali, specie sul lungo termine, per questo la ricerca su nuove formulazioni è sempre attiva. Si utilizzano per anche anticolinergici o farmaci come la bromocriptina, il pramipexolo o il ropinirolo, capaci di imitare il ruolo della dopamina nel cervello. Anche l’amantadina –antivirale-sembra efficace nel ridurre i sintomi. Nel maggio 2006, la FDA ha approvato la rasagilina da utilizzare insieme alla levodopa in pazienti con PD avanzato o come trattamento unico in caso di malattia iniziale. In alcuni casi, la chirurgia può essere appropriata se la malattia non risponde ai farmaci: una terapia chiamata stimolazione cerebrale profonda (DBS) è in tali casi utilizzata e consiste nell’applicazione di elettrodi nel cervello collegati ad un generatore di impulsi esterno: riduce la necessità di levodopa e dei suoi effetti collaterali. Aiuta anche ad alleviare le fluttuazioni dei sintomi e ridurre tremori, lentezza dei movimenti, e problemi di deambulazione.

4. Quale è la prognosi per il Parkinson?

E’ una malattia cronica e progressiva, non si ferma e peggiora. Molte persone diventano disabili gravi, mentre in altre la progressione è lentissima ed è tale da permettere una discreta qualità di vita. Altresì i sintomi possono essere semplicemente intermittenti, dunque la prognosi può essere definita come assolutamente individuale. Ogni caso è a sè.

 

 

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Fonte: Ninds.nhi.gov

Foto: Thinkstock

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