Utilità dei farmaci nei malati di depressione

di Redazione

Ebbene il su indicato team di esperti neurologi, psichiatri e psicologi sarebbe inconfutabilmente riuscito a dimostrare come un paziente su tre non tragga alcun tipo di beneficio dal primo ciclo di somministrazione dei succitati medicinali.

Utilità dei farmaci nei malati di depressione

Una recente inchiesta della nota ed affidabile associazione per la tutela e la difesa dei consumatori Altroconsumo, pubblicata sul numero 97 di aprile 2012 della rivista Test Salute, avrebbe messo in discussione l’utilizzo dei più comuni farmaci antidepressivi nel trattamento delle più lievi, leggere e comuni forme di depressione arrivando di conseguenza a sostenere come il malato di depressione possa trarre beneficio dall’utilizzo dei più appropriati rimedi farmacologici solamente nel caso in cui sia gravemente malato di depressione.

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Lo spunto per una tale riflessione è dato da una revisione sistematica, pubblicata nel 2008 sull’eminente rivista scientifica PLoS Medicine (organo di informazione ufficiale della Public Library of  Science) e condotta da un nutrito gruppo di esperti ricercatori indipendenti britannici e statunitensi, che avrebbe inteso confrontare gli studi, allora pubblicati piuttosto che ancora inediti, sull’efficacia, la rapidità d’azione, l’efficienza e la presenza di effetti collaterali più o meno gravi di ben quattro dei più comuni farmaci antidepressivi quali il Prozac, l’Efexor, il Serzone ed il Seroxat.

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Ebbene, come recentemente riportato da Altroconsumo che, tra l’altro, avrebbe grazie ai propri esperti ulteriormente approfondito la questione, il su indicato team di esperti neurologi, psichiatri e psicologi sarebbe inconfutabilmente riuscito a dimostrare come un paziente su tre, se affetto da una forma di depressione non eccessivamente grave, non tragga alcun tipo di beneficio dal primo ciclo di somministrazione dei succitati medicinali che, nei test sperimentali, avrebbero dimostrato un efficacia pari, se non in alcuni casi addirittura inferiore, rispetto a quella dimostrata dai placebo.

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